Negli anni ’50 il cuore pulsante dell’industria italiava era concentrato in quel triangolo geografico i cui vertici erano Milano-Torino-Genova. L’industria aveva una forza attrattiva enorme, complice anche la politica rurale del fascismo che, temendo le grandi concentrazioni operaie, aveva cerca di frenare la modernità tenendo la popolazione ancorata ai lavori agricoli. Quella politica anacronistica che cercava di allontanare l’industria e la modernità servì solo a rendere più dirompenti i fenomeni migratori del secondo dopoguerra.
Allora, negli anni 50, milioni di persone abbandonarono le campagne del sud e delle regioni povere del nord (Veneto, Friuli, Trentino) per riversarsi verso il cuore industriale d’Italia, e ovunque in Europa e nel mondo le fabbriche o le miniere avessero bisogno di manodopera. Torino in soli 10 anni aumenta di 361.00 abitanti (+ 48%), contemporaneamente la Puglia perde un milione di abitanti diretti verso il nord industriale.
Le fabbriche erano enormi, basti pensare al Lingotto FIAT dove in un solo edificio lungo mezzo chilometro e alto 5 piani si producevano le auto in più catene di montaggio, mentre sul tetto si trovava addirittura la pista per le auto.
Lo stabilimento FIAT del Lingotto fu chiuso nel 1982 e gli spazi riconvertiti a negozi e uffici. Durarono un decennio in più gli stabilimenti più a nord posti lungo il fiume Dora Riparia dove si producevano lamiere e profilati di acciaio.
Si tratta di una superficie di 46 ettari, quasi mezzo chilometro quadrato.
Tramite una passerella soprelevata siamo andati a vedere uno di questi immensi capannoni. Il paesaggio è caratterizzato da questi altissimi pilastri in acciaio, il tetto è rimasto e al posto della fabbrica è sorto un immenso spazio giochi.
Ad arrivarci dall’alto viene in mente il dipinto “Giochi di bimbi” di Bruegel il vecchio.
Una massa di bambini, ragazzi, giovani e adulti che gioca con qualunque cosa abbia la proprietà di rotolare: bici, pattini e schettini, monopattini, tavole da skate, palloni per giocare a calcio, basket, pallavolo.
L’unica cosa nuova in quel contesto di edifici riutilizzati è la chiesa del Sacro Volto. Costruita nel 2006 secondo il progetto dell’architetto svizzero Mario Botta, è la prima chiesa del XXI secolo di Torino. La parrocchia era gestita da un prete operaio e la spesa per la sua costruzione ha suscitato infinite polemiche. La sua altezza si confronta con gli altissimi pilastri industriali, ma ha la forma chiusa contrassegnata da lucernari in forma di torri raccolti attorno a un centro.
Il confronto con il panorama industriale è serrato e si manifesta nell’accostamento tra i resti del passato industriale e una torre campanaria singolare: le campane sono al piede e la torre sembra un’enorme ciminiera rivestita da una spirale di centinaia piccole sfere di lucido metallo.
Foto di Renzo Priante