Ad Agrigento, la prima domenica di luglio si festeggia San Calò, ovvero san Calogero il cui nome letteralmente significa “il bel vegliardo”.
Le notizie della sua vita sono confuse, si dice che venisse da Costantinopoli e, dopo aver conosciuto San Pietro, si recasse in Sicilia. Si narra anche che provenisse dall’Africa e d’altronde viene ricordato come un Santo dalla pelle nera.
Viaggiò attraverso le zone più interne della Sicilia del primo secolo dC finché giunse a Sciacca dove compì miracoli. Terminò la sua vita da eremita, in una grotta dove una cerva si recava ogni giorno per donargli il proprio latte. https://www.santodelgiorno.it/san-calogero/
“San Calò di Naro miraculi nni fa un migliaru, San Caloiru di Girgenti miraculi u nni fa nenti, San Caloiru di Canicattì nni fici unu e si nni pintì“
detto popolare di Naro: San Calò di Naro di miracoli ne fà un migliaio, San Caloiro di Girgenti miracoli non ne fa per niente, Can Caloiro di Canicattì ne fece uno e si pentì.
La devozione e l’orgoglio con cui gli abitanti di Naro (AG) rivendicano il “loro” santo rivela campanilismi anche nel campo del culto.
Tuttavia il santo è così popolare che viene festeggiato anche a Caluso, Torretta, Campofranco, Petralia Sottana, Cesarò, San Salvatore di Fitalia e Frazzanò.
Come se non bastasse, ad Agrigento, pur avendo San Gerlando come santo patrono, si festeggia San Calò con un fasto che ha pochi eguali.
Otto giorni di festa (ma a Naro sono 11, a proposito di rivalità) dalla prima alla seconda domenica di luglio dove si intersecano misticismo, antiche tradizioni, leggende e fede che sprigionano un’energia difficile da comunicare.
Ci ha provato Marina Galici, fotografa siciliana.
… che il monaco Calogero, venuto in Sicilia ad evangelizzare e diffondere la fede cristiana, durante un lungo periodo di pestilenza andasse in giro a chiedere del pane da dare ai poveri. La gente, rintanata in casa per paura della peste, al passaggio del monaco avrebbe lanciato il pane dalle finestre per evitare che Calogero si avvicinasse troppo alle proprie abitazioni.
E l’offerta del pane di San Calò fa parte della tradizione di questi festeggiamenti. Ad esempio, si riteneva che riuscire a colpire la statua con la pagnotta di pane fosse di buono auspicio: la raccolta del grano sarà abbondante e forse la grazia richiesta potrà esaudirsi.
Un rito spesso legato ad antichi residui di credenze popolari, pagane e a riti propiziatori che seguono il ciclo delle stagioni e dei campi.
In una città bardata a festa, con luminarie fuori dal comune e percorsa da suonatori di tamburi (tammurinara) mentre pellegrini arrivano a piedi in città, si aprono le bancarelle.
A mezzogiorno esatto la statua di San Calogero, dopo essere stata deposta e fissata da robusti perni sulla vara (portantina), viene condotta in processione dai devoti portatori, a cui è affidata per l’intera giornata trasportandola in spalla per le viuzze anguste e tortuose della città vecchia, da via Atenea fino a Porta Addolorata. Qui, alle 18, la statua del Santo viene posta sul carro trionfale e prosegue la sua processione con la partecipazione delle autorità comunali e delle confraternite di Agrigento, sino al conclusivo spettacolo pirotecnico,”a maschiata di San Calò” e la fiaccolata.
I bambini vengono issati fino a baciare il santo e qualcuno riesce perfino a stare a cavalcioni sulle spalle della statua per un memorabile momento.
La statua venerata presso il Santuario di San Calogero ad Agrigento raffigura il santo nero con in mano un libro aperto, è il Vangelo, simboleggia la sua attività di predicatore, mentre uno scrigno è appeso ad un braccio, esso rappresenta un cofanetto che si immagina il santo portasse sempre con sé per custodire rimedi e medicine utili alla cura dei malati, il simbolo richiama alla sua nota fama di taumaturgo.
Di San Calò parla anche Camilleri nel libro “Il corso delle cose“. Camilleri stesso, poco partecipe alle cose della chiesa, ammetteva di avere una particolare affezione con questo unico santo, San Calò il “santo nero” giunto dall’Africa in un tempo remoto, nero e povero in canna, la cui santità è stata imposta alla gerarchia cattolica a furor di popolo e il cui culto strambo è tuttora vivissimo in molti paesi e città della fascia meridionale della Sicilia. (https://www.fotoartearchitettura.it/curiosita/san-calogero-amatissimo-santo-nero.html)
Fotografie di Marina Galici
Note biografiche
Marina Galici nasce a Palermo nel 1965, ma l’infanzia e l’adolescenza le trascorre ad Agrigento.
All’età dei vent’anni, affascinata dalle potenzialità sinottiche dell’immagine fotografica al fine dell’osservazione, della ricerca del sé, quanto della conservazione della realtà emozionata ed indagata, s’approccia ai primi studi sulla fotografia analogica e sullo sviluppo in camera oscura. A Siracusa, dove abitava allora, furono i vicoli d’Ortigia e le scene tipiche del porticciolo quelle a cui dedicò la sua attenzione, allenando l’occhio alla composizione fotografica e al raffronto tra l’esercizio meccanico e la percezione visiva.
Continuò, al suo rientro a Palermo, a frequentare ulteriori corsi, passando dall’analogica alla dimensione digitale. Palermo, città natale ma sconosciuta, fu la nuova cornice. Caotica, complessa, altamente contrastante e contrastata.
La foto di strada, sociale, politica e di denuncia divenne naturalmente il tema preminente della sua fotografia.
Il bianco/nero, con le intermediarie scale di grigi, divenne la scelta di colore, dallo sguardo interiore alla foto finale.
Nei suoi reportage ne ha sempre denunciato un’eresia ricorrente, quella della sua invadente sensibilità e reattività empatica al soggetto, per cui non più un riportare asettico e di esclusiva testimonianza della scena, piuttosto un riportare sé a dibattito con il tema trattante e i suoi attori, in un lavorìo continuo di ricerca e conoscenza al di là del visibile.
Ha sviluppato vari temi, tra i più consolidati da citare quello sull’esistenza e identità della donna.
Oppure quello, curato nell’arco di otto anni, rivolto all’etnia Rom, realizzato proprio dentro i campi-ghetto, (vedi: https://circolofotografico.wordpress.com/2022/03/06/fiori-di-campo/)con l’intento di sensibilizzare la società civile alla consapevolezza dell’abuso e discriminazione ingiustamente esercitata su questo popolo e a tentare di sovvertire i falsi pregiudizi e gli stereotipi zingarofobi su loro.
PREMI
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