recitava il ritornello di una canzone (1) scritta durante l’invasione italiana dell’Etiopia, che a ritmo di foxtrot descriveva la discesa delle carovane tigrine verso la Piana del Sale, in Dancalia, il deserto etiope al confine con l’Eritrea.
La canzone dipingeva i nostri soldati non come invasori ma come soccorritori di un popolo che “… giammai conobbe libertà …” e che grazie a noi avrebbe potuto “… andare incontro alla civiltà …”.
L’unica verità che traspare tra le molte inesattezze del testo, è la descrizione delle durissime condizioni di vita dei raccoglitori e dei trasportatori del sale.
Quel lavoro vecchio di secoli continua ancora oggi con modalità antiche: a dorso di dromedario, con attrezzi preistorici.
Le carovane raggiungono all’alba, dopo essersi messe in movimento il giorno precedente, la Piana del Sale. E’ l’ampia area pianeggiante formatasi nella depressione dancala (2) per effetto dell’alternanza, governata dai fenomeni di sollevamento tettonico e di variazione del livello del mare, dei periodi di invasione delle acque del Mar Rosso e delle successive fasi di essiccamento. I sedimenti di questa piana, di spessore variabile da 1 a 3 km, sono tuttora teatro dell’estrazione delle lastre di sale destinate al consumo animale.
Il sale viene cavato dalla superficie e tagliato in forma di tavolette trasportate dalle carovane di dromedari fino alle alture del Tigrai.
E’ un’attività che viene svolta per un periodo limitato di tempo nell’anno, tra ottobre e marzo: prima e dopo il caldo è insopportabile anche per gli Afar (3), l’etnia etiope che cava e dà forma alle tavolette.
Oltre al caldo i cavatori devono affrontare l’abbacinante luce riflessa dalla superficie salata, motivo per cui gradiscono particolarmente l’omaggio di occhiali da sole.
Non si sa quanto potrà ancora durare la loro attività, minacciata dall’avanzare di nuove strade realizzate da imprese cinesi che porteranno sulla piana del sale camion in grado da soli di svolgere il lavoro di più carovane, in una frazione del tempo impiegato dal trasporto animale.
Testo e foto di Riccardo Panozzo
(1) La canzone si può ascoltare qui.
(2) Regione dell’Africa nord-orientale che ha all’incirca la forma di un lungo triangolo. In questo modo delimitata e intesa la regione è costituita precipuamente dall’affossamento o depressione dancala, posta sotto il livello del mare e situata a occidente; e, lungo il Mar Rosso, da un’interessante catena cui può darsi il nome di Alpi Dancale, a cui più a S. seguono imponenti masse eruttive, prevalentemente basaltiche. https://www.treccani.it/enciclopedia/dancalia_%28Enciclopedia-Italiana%29/
(3) È un gruppo etnico nomade del Corno d’Africa, che risiede principalmente nel deserto della Dancalia, nella Regione di Afar, in Etiopia. Presenti anche in Eritrea e Gibuti. La loro figura è snella e i loro lineamenti molto fini. I Dancali allevano cammelli e vendono il sale ricavato dal suolo, che si è impregnato grazie all’evaporazione di antichi laghi costieri. https://it.wikipedia.org/wiki/Afar_(popolo)
RICCARDO PANOZZO
Appassionato di fotografia fin dall’adolescenza, si dedica principalmente a reportage di viaggio e foto di scena, con particolare interesse verso le forme d’arte della danza e del teatro. È fotografo di scena di numerose compagnie di danza di livello nazionale. Le sue foto sono state pubblicate sulle riviste “Meridiani” (reportage sull’Iran), “Danza & Danza”, “Danza EffeBi”,“Il Giornale della Danza”, “TuttoDanza”, sui blog “ABCDance”, “Dance News” e “Artribune”, sui quotidiani “Il Manifesto” e “Vancouver Sun”, oltre che sui siti web delle compagnie fotografate. Vedi: https://www.riccardopanozzo.it/
Pingback: Fotografare la danza | Circolo Fotografico Scledense BFI